18 Giu Scritture contabili “ausiliarie” ma determinanti: valore delle rimanenze. La precisione dell’inventario nella determinazione del valore delle rimanenze costituisce, secondo la Cassazione, un presupposto ineludibile per la regolarità della contabilità. (Gazzetta Tributaria Edizione 37/2021)
37 – La precisione dell’inventario nella determinazione del valore delle rimanenze costituisce, secondo la Cassazione, un presupposto ineludibile per la regolarità della contabilità.
Con due ordinanze pubblicate nella stessa data, il 17 giugno 2021(!) la Corte di Cassazione ha affrontato sotto differenti ottiche la rilevanza delle scritture di magazzino e della determinazione corretta degli importi delle rimanenze nella quantificazione del reddito di impresa imponibile.
Con la prima ordinanza (n.17244) viene affrontato il problema della regolarità formale (si potrebbe quasi dire cartacea!) delle rilevazioni di magazzino, e la Suprema Corte giunge ad affermare che la mancata indicazione con appositi documenti delle ”categorie omogenee“ nelle quali debbono essere raggruppati i beni risultanti in inventario giustifica una dichiarazione di globale inattendibilità della contabilità nel suo complesso, con facoltà per l’Agenzia di utilizzare il procedimento di accertamento induttivo, prescindendo dai dati contabili, come previsto dall’art.39, II comma del D.P.R.600/73.
Indubbiamente la norma contabile (art.15 D.P.R.600/73) impone di tenere a disposizione dell’Agenzia in sede di verifica le “distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario” e tali distinte devono eventualmente essere prodotte in contradditorio o in giudizio.
Con la ordinanza in commento la Cassazione trae dalla mancata produzione di tali distinte (non della globale valutazione di magazzino, si badi bene, ma solo delle distinte!) la conseguenza che tutta la contabilità dell’impresa è inattendibile e quindi ne deriva l’utilizzo dell’accertamento induttivo, che normalmente per essere contestato comporta pesanti oneri probatori in capo al contribuente.
Una situazione in cui la forma, e la disponibilità di supporti cartacei, diviene sostanza e che può segnare incisivamente la situazione fiscale del contribuente. Anche se è stato abolito da anni il registro di magazzino tra le scritture contabili fiscalmente obbligatorie il suo posto è stato preso dalle distinte inventariali!
Ancora più sorprendente, e per molti versi inaccettabile, la conclusione cui giunge la Suprema Corte con l‘ordinanza n.17312, sempre del 17 giugno 2021.
L’Agenzia può procedere alla rettifica delle rimanenze iniziali di un esercizio senza avere rettificato le rimanenze finali dell’esercizio precedente e rompendo quindi la continuità dei valori contabili che è stabilita dall’art.110 TUIR, e affermando conseguenzialmente una forzatura delle norme 0di cui si fatica a comprendere la giustificazione.
In modo apodittico la Cassazione afferma che certamente se vengono rettificate le rimanenze finali di un esercizio queste debbono rappresentare le rimanenze iniziali di quello successivo, “tuttavia non è vero il contrario”.
Nel caso in ispecie sono state ridotte le rimanenze iniziali di un esercizio rispetto al valore delle rimanenze finali dell’esercizio precedente, interrompendo inevitabilmente il principio di continuità dei valori di bilancio e creando una duplicazione di imponibile (si consideri che le rimanenze finali sono voce di ricavi!).
Sembra che anche la Cassazione a volte venga travolta da una spinta impositiva che appanna la lucidità.
Gazzetta 37, 18/06/2021
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