QUANDO ANCHE LA CASSAZIONE NON HA LE IDEE CHIARE (Gazzetta Tributaria n.177/2024)

QUANDO ANCHE LA CASSAZIONE NON HA LE IDEE CHIARE (Gazzetta Tributaria n.177/2024)

177 – Una discutibile interpretazione sulla qualificazione dell’ attività professionale in relazione allo studio associato.

  

È segno dei tempi che l’attività squisitamente personale della prestazione professionale per le professioni ordinistiche sta perdendo la caratteristica dell’individualità per essere ricompresa in una prestazione di servizi svolta da un “ente” collettivo.

Le associazioni professionali identificate dalla qualifica “STUDIO ASSOCIATO”, in attesa del progressivo crescere delle società professionali anche in forma di società di capitali, sono sempre più diffuse nella realtà dei servizi offerti dai vari professionisti, anche perché consentono di ripartire tra i soci in modo semplice eventuali asimmetrie dei redditi prodotti.

Lo stesso TUIR all’art.5, trattando delle associazioni professionali afferma che è perfettamente legittimo che il reddito sia attribuito in forma non proporzionale al conferimento di attività o prestazioni, con questo privilegiando la natura di mutualità rispetto alla singola prestazione svolta e remunerata alla STUDIO ASSOCIATO.

Ma questa che è una vera e propria norma di comportamento almeno fiscale riceve una dura “smentita” dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 29371 del 13 novembre 2024 che nega il riconoscimento della collocazione al privilegio per i crediti vantati dallo studio associato se la prestazione non riguarda il singolo professionista.

Addirittura viene enunciato un principio di diritto che riconosce che il credito dello studio associato per la prestazione svolta può essere ammesso al passivo del fallimento non solo se la prestazione è stata svolta da uno degli associati (e non quindi se si tratta di mera attività di segreteria), ma richiede che anche detto compenso sia di pertinenza specificamente del professionista che ha svolto la prestazione.

Cade quindi il principio mutualistico che aveva ispirato proprio la nascita dello studio associato come soggetti di diritti ed equilibratore nelle prestazioni fornite.

Quindi, secondo la Cassazione, nel caso di insinuazione al passivo di un fallimento per crediti professionali il diritto alla collocazione privilegia (come per i lavoratori dipendenti, unica collocazione che consente di ritenere che vi sarà un pagamento almeno parziale), spetta solo se la prestazione ha caratteristiche di individualità non solo nella fornitura del servizio ma anche nella imputazione del compenso.

Una retromarcia sorprendente, che ci auguriamo non venga seguita da altre pronunce di Cassazione, ma che almeno sino alla prossima sentenza che speriamo sia di segno opposto, potrebbe condizionare le Corti di Merito.

Nel caso in esame lo studio ricorrente si è visto condannare anche ad un rilevante importo di spese di lite a favore del fallimento resistente: oltre al danno (esclusione dal privilegio) anche la beffa del pagamento che, quello sì, è immediatamente dovuto!

 

Gazzetta Tributaria 177, 30/12/2024

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