L’ EQUIVOCO FISCALE DEL BUONO PASTO: MEGLIO UNA VERA DIETA! (Gazzetta Tributaria n.128/2024)

L’ EQUIVOCO FISCALE DEL BUONO PASTO: MEGLIO UNA VERA DIETA! (Gazzetta Tributaria n.128/2024)

128 – Equivoci o distorsioni sul trattamento fiscale dei c.d.”ticket Restaurant”

 

Forse complice la ripresa dopo il periodo feriale o il ricordo di liete tavolate succulente nei luoghi di villeggiatura è iniziata una martellante campagna pubblicitaria per promuovere la diffusione dei buoni pasto, con invio di e-mail magari non immediatamente comprensibili o equivoche.

Niente di strano, se non che talune situazioni vengono presentate in forma probabilmente distorta.

Ricordiamo che il buono pasto viene collocato fiscalmente tra le “prestazioni sostitutive di vitto” erogate ai dipendenti e che per questi (i percettori) non costituiscono reddito entro certi limiti quantitativi (art.51, c.2c TUIR).

Si tratta quindi di un onere che comunque il datore di lavoro subisce (acquisto di ticket, o acquisto di servizio – mensa) e che in quanto destinato ai dipendenti è considerato inerente i costi d’impresa e quindi deducibile.

Si tratta comunque di un costo!

Per comodità della collettività molti esercizi commerciali – supermercati, punti vendita ecc. – accettano i buoni pasto come modalità di pagamento degli acquisti; questo aspetto comunque riguarda solamente il dipendente che avendo ricevuto il ticket decide di utilizzarlo per fare la propria spesa, e pagare diversamente il panino, rispetto a chi lo spende per il pasto di mezzogiorno (destinazione iniziale).

Se il buono pasto assume la natura di sostitutivo della carta moneta (che ne dice la Banca d’Italia?) potrà essere usato anche per pagare le spese di rappresentanza dell’imprenditore, quando accettato dall’esercente, ma non per questo diventa in sé e per sé un costo detraibile!

Il fatto di utilizzare il Ticket Restaurant per il pagamento invece del denaro non modifica la deducibilità delle spese di rappresentanza, che rimangono limitate alla previsione dell’art.109 TUIR (una minima quota del fatturato dell’anno precedente).

Vengono coinvolti nella pubblicità (ingannevole?) anche i lavoratori autonomi, magnificando i risparmi fiscali derivanti dall’utilizzo dei buoni pasto.

Delle due l’una: per quanto riguarda il lavoratore autonomo come datore di lavoro, la disciplina è la stessa dell’impresa, senza vantaggi o penalizzazioni: per quanto riguarda le spese personali anche per l’autonomo vale il concetto di deduzione delle spese di rappresentanza (pranzi ecc.) in limiti ridottissimi rispetto al fatturato, e la disciplina della deducibilità dell’onere non deriva certamente dal modo di pagamento!

Allora come risparmiare sull’onere fiscale? una vera dieta, senza sostenere i costi di ristorazione oltre che benefici fisici e salutistici offre certamente una migliore possibilità di ridurre i costi!

Perché scorciatoie fiscali legali non ce ne sono in materia di spese per vitto, nonostante la martellante pubblicità che vorrebbe proporre il buono pasto come un onere universalmente deducibile.

Potrebbe diventare, invece, un pasto indigesto!

 

Gazzetta Tributaria 128, 11/09/2024

 

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