18 Apr IL FISCO CHE VERRA’: VERIFICHE ED AUSPICI (Gazzetta Tributaria n.44/2023)
44 – Valutazioni e prospettive sulla proposta di riforma tributaria.
Per precisa scelta non abbiamo ancora commentato la bozza di legge-delega sulla riforma tributaria che sta iniziando in questi giorni il cammino parlamentare, perché l’esperienza insegna che il percorso nelle aule delle assemblee legislative spesso stravolge i testi che iniziano l’iter; non per nulla a Roma (e la legge delega si muove lì!) si dice che chi entra in Conclave Papa ne esce Cardinale!
Però non ci esimiamo dal proporre un auspicio: che taluni principi basilari vengano tenuti nella debita considerazione.
Tra questi vi è certamente quello della certezza dei tempi e delle scadenze del mondo tributario, specialmente se confrontato con il comportamento degli altri Stati comunitari.
Poter dichiarare con certezza che un certo anno, o un certo bilancio alla data XXX sono diventati definitivi e non più verificabili, nel nostro ordinamento appare una previsione degna della più esperta Sibilla Cumana (famosa per pronunciare previsioni incomprensibili).
Questo nostro desiderio di certezze trova il migliore conforto della più autorevole dottrina, tanto che il prof. Enrico De Mita su “Il Sole 24Ore” del 18 aprile pubblica un articolo di fondo intitolato: Collaborazione tra Fisco e Contribuente: la fonte è la certezza del diritto.
Sembrerebbe un principio ovvio, eppure è di questi giorni la conoscenza di una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione che sembra togliere ogni certezza, almeno ai termini per sottoporre ad accertamento le dichiarazioni dei redditi, termini che sembrano essere lasciati alla discrezionalità dell’Agenzia, lontani da ogni certezza.
L’ordinanza n.8599 del 27 marzo 2023 della Corte di Cassazione afferma che basta l’ipotesi di fattispecie penalmente rilevante per raddoppiare i termini di accertamento, ma non vi è necessità di presentare la denuncia, togliendo quindi ogni certezza ad uno dei momenti fondamentali del rapporto con il Fisco, la scadenza dell’accertamento.
Riepiloghiamo velocemente la situazione: l‘art.43 del D.P.R.600/73 stabilisce che l’accertamento ai fini delle imposte sui redditi deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione: redditi 2020, dichiarati nel 2021, accertamento entro il 31 dicembre 2026; nel caso di dichiarazione dovuta ma omessa l’accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre 2028.
Sono già termini monstre rispetto agli altri stati dell’Unione.
Una norma del 2006, D.L.223, art.37 ha introdotto la sanzione indiretta del raddoppio dei termini per l’accertamento in caso di violazione che comporti l’obbligo di denuncia ex art.331 C.P.C. per uno dei reati penali tributari (D.Lgs.74/2000); questo vuol dire che per l’anno interessato dalla fattispecie penale il termine per l’accertamento diviene di 10 anni, e in caso di omissione della dichiarazione di 12 anni!
I redditi prodotti nel 2020, dichiarati nel 2021 ma in presenza di seri indizi di reato possono essere accertati sino al 2031!
Siamo agli antipodi con il concetto di certezza dei termini per una corretta gestione dei rapporti tributari, ma questo potrebbe essere giustificato della presenza di fattispecie penalmente rilevanti.
Invece la Cassazione, con la pronuncia in commento, ha annacquato la portata della norma, leggendola male, e affermando che: “Basta che vi siano seri indizi di un reato per godere del raddoppio dei termini, e nulla rileva se la denuncia non è stata poi presentata e se nell’eventuale giudizio è stato dichiarato che il fatto non sussiste!
Eppure la norma sul raddoppio dei termini afferma che questo può operare se vi è l’obbligo della denuncia penale, quindi se questa non viene presentata vuol dire che non vi era l’obbligo e il raddoppio non operava; almeno così si interpreta in termini oggettivi.
Viene quindi lasciato al giudizio, non verificabile, dell’Agenzia se vi sono i seri indizi, senza alcun obbligo di comunicare al contribuente l’esistenza di questi indizi, con l’ipotesi (non solo teorica!) di un soggetto che dopo dieci anni si vede raggiunto da un accertamento perché, in un certo momento, un Ufficio ha ritenuto che vi fossero seri indizi di reato tributario ma non ha presentato nessuna denuncia.
Ecco allora che, nella necessità di un rapporto collaborativo per dare attuazione al principio costituzionale del concorso dei cittadini alle spese pubbliche, deve esservi anche la certezza sui rispettivi ambiti di azione e tempi di verifica, senza che vi possa essere il dubbio di un latente accertamento che potrebbe manifestarsi!
La certezza del diritto, per riprendere la frase del prof. De Mita, è la fonte del principio di collaborazione!
Gazzetta Tributaria 44, 18/04/2023
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