05 Feb Gazzetta Tributaria Edizione 3/2019 contributi (n 5-6)
6- LA VOCE CHE GRIDA NEL DESERTO
Non c’è bisogno di scomodare la Sacra Scrittura per offrire una rappresentazione esauriente dell’inutilità di certi sforzi, ma il richiamo di San Giovanni Battista rende bene l’idea!
L’art. 12 dello Statuto del Contribuente, al comma 7 indica che nei sessanta giorni di periodo di comporto tra la notifica di un verbale e l’emanazione del conseguente accertamento il contribuente può presentare osservazioni che devono essere esaminate dall’Agenzia. Il mancato rispetto del termine temporale per l’emanazione dell’accertamento lo travolge tanto che viene annullato; nulla si dice invece se non viene esplicitata la valutazione delle osservazioni proposte.
Di tale esame, però, e della sua conclusione non è necessario informare il contribuente o chicchessia, tanto che più volte è intervenuta la Corte di Cassazione per affermare che un accertamento che non tenga conto delle osservazioni presentate è pienamente valido …. purchè non lo dica!
Da ultimo la suprema Corte si è espressa in tal senso con la sentenza 23 gennaio 2019 n. 1778 che ha ribadito la piena validità di un accertamento che non fa menzione delle osservazioni a suo tempo presentate.
Precedentemente la stessa Suprema Corte aveva affermato, invece, che dichiarare di non avere preso in esame le osservazioni del contribuente comporta la nullità dell’accertamento, dato il carattere obbligatorio della valutazione delle stesse.
Un comportamento decisamente controtendenza della Suprema Corte che sembra suggerire sempre e comunque all’Agenzia il silenzio sulle eventuali osservazioni del contribuente; con il silenzio non può negare di avere “valutato” le osservazioni, anche se non viene comunicato il risultato della valutazione, mentre se si afferma di non averle considerate si incorre nella sanzione della nullità dell’atto di accertamento!
E pensare che nella stesse legge 212, lo Statuto del Contribuente, vi è una norma tanto citata che afferma che i rapporti tra amministrazione e contribuente sono improntati alla collaborazione ed alla buona fede.
Forse nel deserto certe voci non si sentono, e come scriveva Jacopo Badoer nel 1600 “…un bel tacere non fu mai scritto…” così che anche la Cassazione suggerisce di non segnalare, non replicare, stare in silenzio a fronte delle argomentazioni del contribuente!
E la collaborazione e la buona fede: una voce che grida nel deserto!
Gazzetta 6, 2019
5- PUBBLICITÀ E FESTIVAL – RIFLESSI FISCALI
Forse traendo ispirazione dalla concomitanza con il Festival di San Remo in svolgimento in questi giorni l’Agenzia delle Entrate ritorna con la risoluzione n. 22/2019 del 1° febbraio 2019 sulla annosa e mai risolta distinzione per la determinazione del reddito d’impresa imponibile, tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità che hanno rilevanza fiscale ben differente.
Ricordiamo per i nostri venticinque lettori (Gazzetta Tributaria n. 14/2018) che fiscalmente le spese di pubblicità sono completamente deducibili tra i costi d’impresa e la relativa IVA è interamente detraibile; le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti di percentuali commisurate al fatturato e molto esigue (dall’1,3 allo 0,1%) e la relativa IVA è indetraibile.
Ribadisce l’Agenzia con la risoluzione citata, rispondendo ad un ente che organizza un festival cinematografico – ma anche se canoro sarebbe trattato allo stesso modo! – che tutte le spese di ospitalità verso Testimonial, attori che presentano i film, giornalisti, addetti ai lavori e potenziali buyer sono spese di rappresentanza ed in quanto tali sostanzialmente indeducibili, stante a suo dire la mancanza di un chiaro rapporto di obbligazione bilaterale, contratto a prestazioni corrispettive.
Infatti, a detta dell’Agenzia la spesa di pubblicità deve avere come oggetto la promozione specifica del prodotto dell’impresa, dimenticando tutta quella larga fascia di spese che hanno come oggetto solo la promozione del brand e non già di uno specifico prodotto!
Con una palese contraddizione, poi, l’Agenzia sottolinea come siano spese di pubblicità solo quelle relative all’ospitalità, in occasione di eventi o fiere, sostenute nei confronti di potenziali clienti, con il che si rientra appieno nel concetto letterale di rappresentanza, visto che non viene richiesto il legame univoco tra attività e produzione!
Ricordiamo inoltre che una norma agevolativa considera spesa pubblicitaria automaticamente rilevante e deducibile la sponsorizzazione entro il limite di € 200.000 annui destinata a società sportive dilettantistiche, ed in questo caso il legame con la promozione del prodotto appare quanto mai labile, probabilmente travolta dalla necessità di offrire allo sport minore un sostegno economico travestito in modo soft in spesa produttiva.
Un apposito decreto ministeriale il 19 Novembre 2008 cercò di stabilire le caratteristiche delle spese di rappresentanza, rendendosi conto già nel testo della norma che non riusciva a fornire una valutazione univoca e concludeva che in ogni caso il contribuente poteva richiedere all’Agenzia con un interpello la qualificazione della spesa (a che serviva allora il decreto?)
Saremo sempre al fianco dei contribuenti sostenendo che le spese di promozione dell’immagine e dell’attività aziendale sono spese pubblicitarie e comunque tutto questo polvero fa ragionevolmente ritenere che quanto meno un problema del genere gode della esimente dell’incertezza nell’applicazione di sanzioni all’eventuale errore.
Gazzetta 5, 2019
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