23 Set Gazzetta Tributaria Edizione 16/2019 contributi (n. 34-35)
35- LE “PENTOLE” DEL FISCO NON SEMPRE HANNO I COPERCHI!
A volte l’eccesso di formalismo complica inutilmente i rapporti.
Con insolita rapidità la Corte di Cassazione ha deciso, con la sentenza 23543 del 20/09/2019, una vertenza che riguarda una sentenza della C.T.R. della Toscana del novembre 2017 in materia di applicazione della c.d. rottamazione dei carichi esattoriali prevista nel 2016.
I più attenti dei nostri lettori ricorderanno che negli anni scorsi si sono avuti provvedimenti di favore sia in materia di abbandono di sanzioni e interessi che in materia di chiusura agevolata delle vertenze tributarie; in genere questi provvedimenti prevedevano il pagamento in rate diluite nel tempo delle somme (ridotte) dovute ed è sorto il problema di definire, in caso di esistenza di un contenzioso relativo alle partite “rottamate”, l’aspetto formale della conclusione delle relative vertenze.
Nella prima rottamazione rilevante, quella portata dal D.L. 193/2016 la regolamentazione del contenzioso era stata trascurata; nella più recente rottamazione del D.L. 119/2018 in modo più preciso è stato stabilito che i giudizi in corso, relativi alle partite oggetto di definizione, sono sospesi e saranno poi estinti dopo avere effettuato il pagamento effettuato.
Per l’anno 2016, invece, il legislatore non previde specifici adempimenti, salvo la necessità, con la domanda di definizione, di dichiarare la volontà di rinunciare alle liti in corso, ed è dovuto intervenire il Supremo Collegio con la sentenza citata per affermare una ovvietà, arricchita di inutili complicazioni: i giudici hanno convenuto che la partita si chiude, su richiesta del contribuente, quando sono stati effettuati tutti i pagamenti, ed allora per l’iniziale lite deve essere dichiarata l’intervenuta cessazione della materia del contendere (vorrei ben vedere, dato che tutto quanto dovuto è stato pagato!).
Vi è quindi la necessità di una attenzione e una attività, con il rischio di scontentare i giudici tributari per una situazione certamente “vuota”.
Nella definizione agevolata del 2018, ferma la sospensione, la chiusura avverrà d’ufficio su comunicazione della Riscossione senza necessità di intervento.
Come insegnavano le nonne, spesso il diavolo fa le pentole ma non i coperchi!
Gazzetta 35, 2019
34- SOCI, ASSOCIATI E COLLABORATORI
IL DIBATTITO IRAP NON SI PLACA
Anche il periodo estivo non ha portato ad una caduta di attenzione verso le problematiche IRAP, e particolarmente sulla rilevanza del concetto di autonoma organizzazione rilevante.
Lo spunto per queste note è dato da tre sentenze della Corte di Cassazione dei mesi (giorni) scorsi.
I casi esaminati sono differenti ma pur riconducibili ad un filone omogeneo: se il contribuente ha collaboratori di per sé è soggetto IRAP o no?
La prima sentenza (n. 13278/19 del 16/05/19) ribadisce un principio assoluto: ogni ente collettivo sia associativo che societario, rappresenta di per se un soggetto IRAP.
Un avvocato, socio di uno studio associato chiedeva il rimborso dell’IRAP pagata sul suo reddito professionale.
L’attività è esercitata dalla associazione professionale, sia pure tramite i soci, e pertanto la Cassazione ha ribadito la piena legittimità della imposizione, negando il rimborso e condannando il contribuente a pagare oltre 5.000 euro di spese legali.
La struttura di studio associato a cui partecipa l’avvocato, rappresenta la “struttura autonoma rilevante” che fa scattare l’IRAP.
Ancora un avvocato è il soggetto che ha provocato la sentenza n. 19775/19 del 23/07/2019 che ha affermato l’irrilevanza di compensi pagati a terzi per una funzione di collaborazione marginale (domiciliazione).
La Corte Regionale del Lazio aveva negato il rimborso dell’IRAP perché l’avvocato si avvaleva di una rilevante rete di colleghi domiciliatari remunerati.
La Cassazione, invece ha annullato la sentenza affermando anche un principio generale di diritto: “ È insegnamento di questa Corte che “in tema d’IRAP”, non sono indicativi del presupposto dell’autonoma organizzazione i compensi corrisposti da un avvocato per le domiciliazioni presso i colleghi, trattandosi di prestazioni strettamente connesse all’esercizio della professione forense, che esulano dall’assetto organizzativo della relativa attività (Cass. Ord. n. 22695/16), ovvero i compensi corrisposti a colleghi del professionista in caso di sostituzioni (Cass. n. ord. n. 20088/16), oppure a consulenti esterni (Cass. n. 20610/16; Cass. 26332/2017; Cass. 719/2019), in quanto trattasi di esborsi che non rilevano di per sé a fini IRAP”.
Quindi i collaboratori marginali sono irrilevanti ai fini dell’esclusione da IRAP (e l’eventuale rimborso) .
Infine la sentenza recentissima n. 22469 del 9/9/19 si rivolge al mondo dei promotori finanziari trattando il caso dell’esistenza di una “ impresa familiare” tra promotore e il coniuge.
La Suprema Corte in questo caso ha ritenuto l’esistenza di un’ autonoma organizzazione rilevante nella “impresa familiare” in cui la collaborazione del familiare ( moglie) assume carattere significativo per l’impresa. Quindi l’apporto del collaboratore all’impresa familiare diviene elemento costitutivo della soggettività IRAP, e verrebbe richiesto al promotore la prova dell’apporto insignificante del coniuge a fronte di una quota di partecipazione del 49%! (tipico esempio di tentativo di godere di due benefici contrapposti, ripartizione del reddito ma esclusione da IRAP)
A contrario la sentenza conferma che ove la collaborazione del coniuge sotto qualunque forma, sia limitata ad una funzione esecutiva di segreteria rimane valida l’esclusione da IRAP.
Anche se il “muro” di questa imposta comincia a presentare qualche crepa dobbiamo aspettarci altre, numerose e magari non lineari pronunce.
Novella Fenice, l’IRAP cerca sempre di risorgere dalle proprie ceneri!
Gazzetta 34, 2019
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