23 Apr BENVENUTI AL FESTIVAL DELLA BUROCRAZIA FISCALE (INUTILE!) (Gazzetta Tributaria n.74/2025)
74 – Nei rapporti tra eredi del professionista e fallimento del cliente l’Agenzia erige un monumento alla burocrazia inutile.
Sappiamo, purtroppo, che in Italia i tempi di una procedura fallimentare sono dilatati a dismisura, e l’esempio che commentiamo ne è la prova; ma quando ai tempi biblici ci si aggiunge la burocrazia rigida la conseguenza rischia di essere una sequenza di movimenti a vuoto, senza beneficio per alcuno.
La risposta ad interpello n.118 del 22 aprile 2025 rischia di essere la dimostrazione plateale di quanto affermato.
Un professionista muore nel 2011, e in tale anno aveva precedentemente chiuso, forse frettolosamente, la propria partita IVA.
Alla fine del 2024 (tredici anni dopo!) l’erede viene informato che un fallimento in cui a suo tempo il professionista aveva insinuato il proprio credito per prestazioni professionali procederà ad un pagamento parziale anche del credito del de cuius.
Non vi è dubbio che questo ricavo sarà dichiarato ai fini dell’IRPEF da parte dell’erede, ma si pone il problema della collocazione IVA di questo pagamento di prestazione professionale a titolare cessato.
Vi è stato un rimpallo di esecuzione di adempimenti tra fallimento ed erede, fino alla pronuncia finale dell’Agenzia delle Entrate che con la risposta n. 118 citata è giunta alla conclusione che l’erede che incassa il residuo credito deve aprire una partita IVA (de relicto!) per fatturare al fallimento questo importo che viene pagato in sede di riparto, e versare interamente l’IVA all’Erario dato che non vi è alcuna attività specifica.
E pensare che il fallimento si era inizialmente offerto di pagare solo il netto senz’IVA e versare quanto dovuto direttamente all’Erario.
Invece assistiamo ad un passaggio decisamente gonfiato: il fallimento riceve una “fattura” emessa dal l’erede del defunto quindici anni dopo, con IVA; paga la quota di riparto dovuta maggiorata dell’IVA; l’erede versa quest’IVA allo Stato, dato che non vi è attività specifica in relazione al credito incassato; il fallimento potrà richiedere il rimborso dell’IVA versata all’erede perché si tratta di una “nuova” fatturazione.
Provate a fare i conti: quest’importo di IVA viaggia per due volte in tutti i sensi e l’operazione, alla fine, si chiude a saldo zero.
Siamo in presenza del più incredibile festival della burocrazia che compie tutte le giravolte prescritte da un copione rigido per giustificare la propria esistenza.
E’ palese che in capo all’erede quanto percepito è solo un provento finanziario e non il frutto di un esercizio di attività autonoma; è palese che per il fallimento questa nuova corresponsione di IVA è un maggior costo che cercherà di recuperare; è palese che l’apertura di una nuova partita IVA non serve a nulla, dato che dopo l’incasso di quanto dovuto e il suo riversamento sarà chiusa: eppure la Divisione Contribuenti dell’Agenzia non si sente di avvalorare una procedura semplificata che consenta di evitare inutili incassi e pagamenti.
Effettivamente a volte si resta sconcertati davanti alla difesa ad oltranza della burocrazia inutile, ma le abitudini, certamente, sono dure a morire.
Gazzetta Tributaria 74, 23/04/2025
Sorry, the comment form is closed at this time.