16 Lug ASSOLUZIONE PENALE E “IO NON CI STO” Il rapporto tra il giudizio penale e quello tributario è sempre oggetto di valutazioni divergenti ma l’Agenzia delle Entrate pretende le ragioni solo per lei.( Gazzetta Tributaria 44/2020)
44- Il rapporto tra il giudizio penale e quello tributario è sempre oggetto di valutazioni divergenti ma l’Agenzia delle Entrate pretende le ragioni solo per lei.
Con una sentenza emessa in piena “zona COVID” la Corte di Cassazione (n. 10138 del28 maggio 2020) è tornata sul complesso rapporto tra giudicato penale e giudizio tributario, riaffermando la piena indipendenza dei due mondi, generati da norme diverse e regolati da riti differenti.
Il regime di acquisizione delle prove, la necessità di una azione volitiva per il penale, i diversi ambiti di rilevanza comportamentale fanno sì che possa essere pacificamente accettata l’affermazione che la sentenza penale può non fare stato nel giudizio tributario ma essere considerata solo come un elemento di cui necessariamente tenere conto, ma non da solo, nel processo tributario.
Dovranno essere valutate anche le altre presunzioni e produzioni documentali che l’Agenzia avesse considerato e prodotto nella redazione dell’accertamento oggetto di impugnativa.
Se questo principio di comportamento equilibrato appare condivisibile, anche se cozza con il comune sentire constatare che viene svolto un processo fiscale quando il giudice penale ha assolto l’imputato “perché il fatto non sussiste” appare eccessivo il comportamento della stessa Agenzia che sul suo periodico FISCO OGGI del 15 luglio 2020 commenta la sentenza richiamata affermando che anche in presenza di assoluzione penale il contribuente accertato deve essere condannato dalla giustizia tributaria e che questo è stato convalidato dalla Cassazione.
La Cassazione ha statuito che l’assoluzione penale non può costituire l’unico motivo di annullamento dell’accertamento, e di reiezione dell’appello avverso la prima pronuncia, e che devono essere vagliate le altre circostanze addotte: si è trattata di una sentenza della Suprema Corte con rinvio ad altro giudice di merito per una valutazione più ampia, e con di una conferma dell’accertamento.
Sembra di ricordare quel discorso di fine anno (una decina di anni fa) del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro che a fronte di critiche e contestazioni esistenti nel paese affermò tramite le televisioni a reti unificate “IO NON CI STO’” espressione, forse un po’ eccessiva della prevalenza di una parte sull’altra, di una posizione rispetto all’esterno.
Una assoluzione penale perché il fatto non sussiste può voler dire che quel fatto non è mai esistito oppure che pur essendosi verificato non ha avuto rilevanza penale e sarà il giudice competente ad affermarlo; non vuol certo dire che viene dato apriori ragione all’Agenzia che sulla base del verbale ha costruito un accertamento (nel caso de quo si disquisisce di lavoro in nero e di compensi erogati e se il giudice penale ha ribadito che il fatto non sussiste appare difficile trovare anche materia imponibile!)
Una sentenza di rinvio non vuol dire dare ragione al ricorrente in Cassazione, ma principalmente vuol dire che quella sentenza impugnata era viziata da errore o difetto di motivazione e che la pronuncia viene rimandata al giudice competente per un nuovo giudizio.
E’ troppo facile, quando la pronuncia non soddisfa appieno dire “IO NON CI STO” e non tutti hanno la carica di Presidente della Repubblica!
Gazzetta 44, 16/07/2020
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