24 Dic IL BALLETTO RITUALE DELLA RIVALUTAZIONE “AGEVOLATA” DI TERRENI E PARTECIPAZIONI (Gazzetta Tributaria n.176/2024)
176 – Con la nuova legge di bilancio si ripresenta la possibilità di rivalutare terreni e partecipazioni “private” con imposta sostitutiva.
C’erano ancora le lire (anno 2002) e l’inflazione galoppava quando nel panorama legislativo italiano si affacciò l’ipotesi di affrancare il valore di terreni e partecipazioni possedute da privati con un’imposta sostitutiva, con aliquota di favore (2/4%), consentendo di annullare ogni plusvalenza imponibile e accompagnando il nuovo istituto con l’affermazione dell’occasione irripetibile da cogliere al volo (Gazzetta Tributaria n.38/2020; n.35/2022; n.120/2023; n.6/2024)
Sono passati oltre vent’anni, la lira è diventata oggetto di collezione, l’inflazione a volte è fin troppo debole e servono stimoli per rivitalizzarla, ma la possibilità di rivalutare terreni e partecipazioni ritorna come un fiume carsico, magari non si vede per un anno ma poi riappare.
Anche la legge di bilancio 2025 ripropone questa situazione, che però ha perso molto del suo interesse data la crescita, quella sì inflazionistica, dell’aliquota dell’imposta sostitutiva.
Ricapitoliamo le fattispecie.
La norma si rivolge a soggetti privati, società semplici e enti non commerciali che posseggono terreni o partecipazioni (è scomparsa la differenziazione tra partecipazioni qualificate o no, e ci si rivolge anche alle azioni quotate), che possono affrancare il valore di tali beni sulla base di una perizia redatta da professionista qualificato e pagando un’imposta sostitutiva sull’intero valore risultante dalla perizia.
In mancanza di affrancamento la cessione “normale” di questi beni genera in capo al cedente una plusvalenza soggetta ad aliquota ordinaria IRPEF del 26%.
Certamente all’inizio la convenienza era macroscopica, un’aliquota del 4% (sia pure sull’intero valore) per l’affrancamento a fronte di una aliquota del 26% sulla plusvalenza; ma mano a mano l’aliquota dell’imposta agevolata è salita, e per il 2025 sarà del 18%, mentre quella dell’imposta ordinaria rimane fissa al 26%.
Quando si consideri che l’aliquota del 18% deve riguardare l’intero valore rivalutato, mente quella del 26% riguarda solo il differenziale tra costi e ricavo, appare palese come la convenienza sia quanto meno marginale.
Nel caso di un bene acquistato (o ereditato) a 100 e venduto a 200, se vi fosse l’intenzione di rivalutarlo con imposta sostitutiva con riferimento al valore finale deve essere pagata, sia pure in tre rate, un’imposta sostitutiva di 36 (200×18%); in caso di vendita a prezzo pieno la plusvalenza sarà di 200-100=100 e l’imposta ordinaria di 26, certamente più conveniente.
Invece se il costo è 100 e il valore di vendita 1000 la rivalutazione “agevolata” comporta un pagamento di 180, la tassazione ordinaria un’imposta di 234, con un sicuro vantaggio; però siamo in presenza di ipotesi limite.
Eppure, imperterrito, il legislatore continua a riproporre questo istituto che ha perso tutto il suo fascino, se non quella di una sorta di “fiscalità vintage!”
Gazzetta Tributaria 176, 27/12/2024
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