21 Dic COLLABORAZIONE A SENSO UNICO: NON È LO SPIRITO DELLO STATUTO. (Gazzetta Tributaria n.140/2023)
140 – Il contribuente non può pretendere trattamenti di favore a fronte di un proprio palese inadempimento volontario!
Nell’ambito dello spirito natalizio spendiamo una parola anche a favore dell’Agenzia, tirata per i capelli a dover difendere una propria posizione per altro inattaccabile.
In ogni caso è una vicenda che attraverserà almeno un quarto di secolo!
Un contribuente presenta (e siamo all’anno 2004!) le dichiarazioni sia come società che come sostituto d’imposta con una indicazione di imposta dovuta che non viene versata.
L’Agenzia, a seguito del controllo ex art.36bis/600, iscrive a ruolo quanto dichiarato e non pagato, ma il contribuente si oppone affermando che non vi era stato alcun atto di contradditorio e che non vi era stata la comunicazione bonaria preventiva del debito che, se accolta, avrebbe consentito di versare sanzioni ridotte.
Incredibilmente la società ottiene ragione in primo e secondo grado, tanto da costringere l’Agenzia a presentare il ricorso per Cassazione.
Le Corti di Merito hanno ritenuto che la comunicazione preventiva, nell’ambito del contradditorio endoprocedimentale, fosse obbligatoria e quindi la mancanza di prove sull’effettuazione di tale comunicazione rendeva nulla la successiva iscrizione a ruolo.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27724 del 2/10/2023 ha cassato la sentenza di merito, rinviando ad altra sezione della Corte di II° Grado, affermando a chiare lettere che l’obbligo di comunicazione preventiva come previsto dall’art.6 dello Statuto del Contribuente vale quando vi siano elementi di incertezza, mentre se, come nel caso in commento, l’azione dell’Agenzia non ha fatto altro che recepire il contenuto della dichiarazione e riprodurlo in una posta di ruolo stante il mancato pagamento di quanto dichiarato, non vi è necessità di alcun confronto.
È ben noto che la dichiarazione dei redditi abbia natura di dichiarazione di scienza e non di volontà ma se vi è stato l’atto di indicare un debito “esistente” non si può pretendere che su tale circostanza vi siano incertezze; eventualmente al contribuente è sempre consentito, entro certi limiti temporali, presentare una dichiarazione integrativa, ma in mancanza di questa la natura “confessoria” dei saldi indicati non dovrebbero richiedere ulteriori formalità ed adempimenti.
Almeno questo è l’orientamento espresso con la pronuncia indicata dalla Cassazione, e non ci sentiamo di contraddire gli Ermellini!
La citazione dell’art.6 dello Statuto, in questo caso, appare certamente a sproposito, mentre dovrebbe essere ben più presente l’art.10 che impone un comportamento con spirito di collaborazione e buona fede!
Questo comportamento non può essere inteso in senso unidirezionale, ma anche il contribuente deve collaborare!
Gazzetta Tributaria 140, 21/12/2023
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